Cambiare personalità è possibile? E se sì, cosa lo innesca davvero? Per decenni, le teorie delle personalità hanno promosso l’idea che i tratti individuali – le nostre caratteristiche più profonde – fossero relativamente stabili una volta raggiunta l’età adulta. Tuttavia, sempre più ricerche stanno mettendo in discussione questo assunto, mostrando come la personalità possa invece evolvere nel tempo, persino cambiare talvolta. Ma quanto e in che modo gli eventi di vita incidono su tale cambiamento? Un recente studio condotto da Bühler, Orth, Bleidorn, Weber, Kretzschmar, Scheling e Hopwood (2023) offre un contributo significativo a questa domanda. Si tratta di una meta-analisi preregistrata di 44 studi, che aggrega i dati di oltre 121.000 persone per valutare l’effetto di dieci eventi di vita – dalla nascita di un figlio alla perdita del lavoro, dal matrimonio al pensionamento – su cambiamenti nei Big Five, nell’autostima e nella soddisfazione di vita. Gli interessanti risultati mostrano che gli eventi di vita, inaspettatamente, possono effettivamente modificare la personalità, anche se con effetti tendenzialmente piccoli e specifici. In particolare, è doveroso sottolineare come sorprendentemente gli eventi legati alla sfera lavorativa (come il primo impiego o la laurea) abbiano effetti più consistenti rispetto a quelli nell’ambito affettivo. In particolare, eventi di "guadagno" (es. iniziare una nuova relazione o trovare lavoro) tendono ad associarsi a cambiamenti positivi, mentre eventi di "perdita" (es. divorzio, disoccupazione) mostrano effetti più eterogenei e difficili da prevedere; infatti possono essere sia negativi che positivi in termini di apertura o cambiamento. Questo studio ci invita a superare una visione statica della personalità per abbracciarne un modello dinamico, dove l’esperienza individuale e sociale diventano terreni fertili per trasformazioni anche profonde, sebbene vada detto che questi cambiamenti sono quasi sempre graduali. Questo fatto ci ricorda anche che non tutti gli eventi hanno lo stesso impatto e che comprendere le condizioni e i meccanismi che favoriscono un reale cambiamento resta una sfida aperta per la ricerca non solo accademica ma anche personale. In un contesto sempre più dinamico e complesso, sapere di poter cambiare, sebbene rimanga sempre una sfida, risulta essere una consapevolezza mai scontata e piena di speranza. Nel contesto organizzativo, questa prospettiva può offrire spunti interessanti: i percorsi professionali, i momenti di transizione, o i cambiamenti relazionali all’interno dei team possono non solo modificare comportamenti, ma anche contribuire alla ridefinizione di tratti identitari. Resta però la domanda: come possiamo progettare contesti in grado di facilitare cambiamenti adattivi e maturativi che possano migliorare l’esperienza delle persone? Un buon punto di partenza è quello di permettere non solo a parole come identità e, azzardando, anima di prendere spazio all'interno delle organizzazioni; bensì costruire degli ecosistemi che siano effettivamente e concretamente attenti a queste dimensioni dell'essere. Le organizzazioni non possono e non devono rimanere semplicemente dei luoghi deputati alla produzione di un qualsivoglia tipo di prodotto, servizio o risultato (sebbene sia chiaro che sono questi i fattori che consentono loro di sopravvivere); piuttosto devono divenire degli ambienti in cui le persone possano mettere al servizio di uno scopo le proprie peculiarità e caratteristiche, realizzando uno scopo e realizzandosi nel compierlo. Sebbene questi orizzonti paiano nascondersi dietro logiche sempre più stringenti di competitività e prevaricazione, questi sono i pilastri da tenere in mente e su cui costruire un futuro più silenzioso, gentile e sostenibile, ma non per questomeno impattante. Cosa ne pensate? In quali contesti avete osservato cambiamenti di personalità legati a eventi di vita? Possiamo, come formatori, educatori o manager, favorire questi processi in modo intenzionale? Per saperne di più, clicca qui!
Il significato della vita è un tema che, nell’immaginario collettivo, si lega spesso a figure di spicco, a cui tendiamo a riferirci con l’appellativo di saggi, e a filosofie profonde, come se fosse un concetto da esplorare soltanto in ambiti spirituali o esistenziali. Eppure, la scienza, non accontentandosi dei confini stabiliti dai costumi o dalle abitudini, ha iniziato a indagare il “perché” del nostro stare al mondo in modo sistematico e rigoroso. Secondo il dizionario di Oxford, il “significato della vita” può essere compreso come la percezione di scopo, direzione e valore che un individuo avverte nei confronti della propria esistenza individuale. Questa prospettiva trova un solido sostegno nell’articolo “The Science of Meaning in Life” scritto da Laura King e Joshua Hicks e pubblicato nel 2021 sulla rivista Annual Review of Psychology. Nell’articolo, gli autori illustrano come la ricerca sulla percezione di senso e significato sia diventata un campo florido e quantomai rilevante, non solo a livello personale bensì anche all’interno dei contesti sociali e lavorativi. In particolare, l’articolo individua tre dimensioni principali attraverso cui rilevare la presenza di significato nella propria vita: Comprensione/Coerenza: ovvero la capacità di dare un senso alla propria vita e al mondo, percependo le connessioni tra eventi, idee e persone. Un'alta coerenza è associata a un elevato senso di significato nella propria vita, mentre l'incapacità di ricostruire questa comprensione e questa coerenza può causare stress psicologico e ridurre la percezione di senso; Scopo: ovvero sentire che il proprio comportamento è guidato da obiettivi personali di valore. Gli scopi di vita spesso riflettono aspirazioni a lungo termine che influenzano comportamenti, pensieri e sentimenti quotidiani, ma soprattutto permettono di giustificare le fatiche e gli ostacoli del presente mettendoli al servizio di una meta più nobile nel futuro. Significatività esistenziale: ovvero possedere la convinzione che la propria vita conti e abbia un impatto duraturo e positivo sul mondo. Anche se questa componente può sembrare difficile da misurare, tale percezione soggettiva è fondamentale per sentire che la propria esistenza abbia senso. La ricerca dimostra infatti che le percezioni di significatività sono essenziali per conferire significato alla vita. Queste stesse dimensioni, per quanto fondamentali nella vita, assumono altresì grande importanza anche in ambito organizzativo, perché le organizzazioni che riescono a costruire un senso e un significato intorno a ciò che fanno permettono alle proprie persone di fare lo stesso. Infatti, quando si parla di coerenza e scopo, ci si riferisce alla capacità di individuare un allineamento fra i valori personali e la mission e vision aziendali. Un dipendente che trova corrispondenza tra i propri ideali e quelli dell’organizzazione sente di lavorare in un ambiente coerente con la propria identità, e ciò si traduce spesso in maggiore motivazione, impegno e resilienza (se non addirittura antifragilità) di fronte alle sfide professionali. Questa “coerenza percepita” alimenta la sensazione di non agire in maniera frammentaria, ma di avere un filo conduttore che lega ciò che si fa a ciò che si è in una narrazione coerente che potenzia l’individuo. Parallelamente, la dimensione relazionale e comunitaria del significato esistenziale sono altrettanto cruciali per creare un tessuto di relazioni positive sul luogo di lavoro. Nel momento in cui le persone sentono di partecipare a qualcosa di più grande di loro — come un progetto che abbia impatti positivi sulla società o sull’ambiente — si va ad instaurare in esse un senso di appartenenza che va ben oltre il senso del dovere o l’etica lavorativa. Pertanto, alla luce di questo risulta chiaro come la scienza del significato della vita non sia solo un tema di introspezione personale, ma anche un fattore strategico per lo sviluppo organizzativo, oltre che una questione sempre più
Nel mondo della scuola, si sente spesso parlare di innovazione didattica, tecnologie digitali, creatività. Ma cosa accade davvero quando si provano a mettere a terra questi concetti che troppo spesso rimangono chiusi nei dibattiti? Uno dei rischi più sentiti è quello che le tecnologie – invece che essere utilizzati strumenti di emancipazione – diventino nuove forme di limitazione o addirittura di controllo, svuotate di significato e depauperate del loro eventuale potenziale benefico. In questo contesto, lo studio A Resonant Learning (RL) Framework, pubblicato nel 2024 su Education Quarterly Reviews dai ricercatori Charles White e Lawrence Wilde, propone una riflessione ambiziosa e profondamente necessaria: Cosa accadrebbe se, invece di parlare solo di “integrazione delle tecnologie nell’educazione”, provassimo a riportare al centro l’umano, ripensando l’educazione come spazio di risonanza? La loro proposta prende forma attraverso un “framework di apprendimento risonante” che unisce la teoria sociologica della risonanza di Hartmut Rosa con il modello creativo di Graham Wallas. Il punto di partenza assume una prospettiva potremmo dire radicale: l’apprendimento, se vuole essere autentico, non può limitarsi a trasferire contenuti o formare competenze. Deve trasformare chi apprende – e lo può fare solo se si crea una relazione viva, emotiva, aperta all’imprevisto, tra studenti, insegnanti, contenuti, tecnologie, anime e luoghi .Non si tratta, quindi, di aggiungere un'app o una piattaforma al programma educativo. Si tratta di immaginare una scuola capace di “risuonare”, dove le esperienze formative siano segnate da momenti di sorpresa, connessione, meraviglia. Dove gli studenti non si limitino a rispondere correttamente, ma siano toccati da ciò che incontrano, si emozionino, si trasformino. In questa visione, la tecnologia non è il fine, ma uno strumento e un abilitatore per facilitare ambienti capaci di generare esperienze risonanti. Un esempio affascinante che gli autori approfondiscono è quello delle Laptop Orchestras: ensemble musicali in cui studenti usano computer e dispositivi digitali per creare musica collettiva. Non è solo un esercizio tecnologico: è un laboratorio in cui si sperimenta la collaborazione, l’improvvisazione, l’ascolto reciproco, la responsabilità creativa. In altre parole: si fa esperienza della risonanza. Tuttavia, questa prospettiva è tutt’altro che ingenua e tiene conto altresì degli idealismi che nasconde. White e Wilde infatti riconoscono le contraddizioni del sistema scolastico contemporaneo: l’uso delle tecnologie spesso resta superficiale; i docenti si trovano disorientati, a volte isolati; la pressione delle performance e della standardizzazione genera alienazione e burnout. Pertanto, è qui che il concetto di second-order resonance (risonanza di secondo ordine) diventa cruciale: non possiamo e non dobbiamo forzare la risonanza, ma possiamo creare le condizioni perché possa emergere. Il focus deve essere spostato dai discenti al sistema. L’obiettivo deve spostarsi a monte, non a valle. Per permettere agli studenti di risuonare è necessario creare ambienti carichi di significato, rituali educativi che non siano vuote routine, deve generare connessioni autentiche tra persone e saperi. In fondo, pensandoci, questo studio è anche una proposta politica. Chiede di rallentare, di ascoltare, di riconoscere che l’educazione non è solo una questione di contenuti o abilità, ma una pratica relazionale che coinvolge affetti, corpi,memorie. E che ogni volta che uno studente si emoziona davanti a un frammento musicale, o che un insegnante ritrova senso nel proprio mestiere grazie a uno sguardo o a una scoperta condivisa, lì si produce risonanza. Lì accade l’apprendimento. Non è un modello facile da applicare, e forse non vuole esserlo. Ma in un’epoca in cui il rischio è ridurre l’insegnamento a gestione di piattaforme o applicazioni digitali, il framework di Resonant Learning rappresenta un invito potente a reimmaginare la scuola come luogo di possibilità, trasformazione, vita. E voi cosa ne pensate? Per saperne di più, clicca qui!
Che le parole plasmino la realtà e soprattutto il modo in cui la percepiamo è ormai accertato. Ogni parola porta con sé e in sé significati che sono il frutto di stratificazioni culturali più o meno complesse e lontane nello spazio e nel tempo. E meno esse sono riferite a oggetti concreti e chiaramente 'circoscrivibili' più queste stratificazioni tendono ad ampliarsi. Il mondo del lavoro e in particolare delle organizzazioni professionali è pieno di termini che fanno riferimento a concetti astratti, che racchiudono una gamma spesso molto eterogenea di possibili fenomeni. Ecco perché, dal nostro punto di vista, se si vuole che la trasformazione dell'esperienza lavorativa cui stiamo assistendo conduca verso esiti migliorativi è fondamentale che essa passi anche attraverso un rinnovamento linguistico. In un precedente articolo avevamo ad esempio messo provocatoriamente in discussione l'utilizzo della parola "leadership" suggerendo di sostituirla con "provision", proprio perché meno connotata culturalmente di significati potenzialmente problematici. Questa volta vorremmo soffermarci su un'altra coppia di termini molto utilizzati (per non dire abusati) nel lessico aziendale: il primo è "efficace" e con esso ci si riferisce di solito alla qualità di una qualunque prestazione individuale o collettiva, con un'enfasi particolare sul risultato raggiunto: più esso risponde alle aspettative del committente, più la prestazione sarà considerata efficace. Il secondo è 'efficiente', che invece pone l'accento sul consumo di risorse (tempo, energie, denaro, materiali
Di Nicola Castelli Fra Marzo e Maggio ho avuto la possibilità di fare un’esperienza unica nella mia storia professionale. Una persona che segue il corso di Mindfulness che da tanti anni conduco a MensCorpore mi ha chiesto se l'Associazione era disponibile a fare da partner al Liceo Musicale Veronica Gambara di Brescia presso cui insegna per un intervento di formazione PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l'Orientamento) rivolto a due classi quarte. L’obiettivo esplicito era fornire ai ragazzi alcuni spunti e strumenti per una miglior gestione dell’emotività nella performance artistica (quando cioè si esibiscono davanti a un pubblico). Sottotraccia c’erano però il desiderio e l’intenzione di offrire uno spazio di confronto e supporto più ampio, non solo per l’importanza che la componente emotiva gioca nell’adolescenza ma anche per il complesso momento in cui gli studenti si trovavano (quasi due anni di didattica a distanza!). I percorsi, che hanno avuto una durata di 8 incontri di 1 h e 30 ciascuno a cadenza settimanale, si sono svolti a distanza. Non è certamente la migliore delle condizioni per questo tipo di interventi ma, da una parte, non c’erano altre possibilità di scelta, dall’altra ammetto che la modalità on line ha risolto non poche criticità logistiche. L’approccio utilizzato è stato molto simile a quello che normalmente adotto nella formazione organizzativa, ovvero: una mescolanza di stimoli teorici, esercitazioni e pratiche guidate, condivisioni in plenaria o in sottogruppi e piccole sistematizzazioni. Insomma, l’idea era quella di offrire agganci il più variegati (ma coerenti) possibili, così da mantenere desta l’attenzione e il coinvolgimento del maggior numero di partecipanti (circa 20 per ogni gruppo-classe). Ma soprattutto, mi sembrava fondamentale modulare il processo sulla base delle tematiche più significative che sarebbero emerse in corso d’opera dai ragazzi. Ecco qui di seguito le principali aree che abbiamo esplorato
Nel 1882, alla John Hopkins University, alcuni ricercatori fecero un esperimento: presero un grande calderone d’acqua e lo misero sul fuoco; quando l’acqua arrivò a ebollizione gettarono dentro alla pentola alcune rane vive, che immediatamente ne schizzarono fuori per salvarsi. A quel punto ripeterono l’esperimento, con una differenza: le rane questa seconda volta furono messe nell’acqua subito, quando era ancora fredda, facendo salire la temperatura pian piano, a fuoco lento. Gli animali non si accorsero della situazione di pericolo se non quando era troppo tardi, ovvero quando il calore (inizialmente piacevole) li aveva indeboliti a tal punto da non aver più le forze sufficienti per saltare fuori dal contenitore, morendo bollite. Negli anni, quello che è stato soprannominato ‘il principio della rana bollita’, è diventato una metafora sociologica per descrivere la facilità con la quale l’essere umano si adatta a situazioni disagevoli e persino dannose per la propria salute e sopravvivenza, perdendo progressivamente la capacità di sottrarsi ad esse e finendo per considerarle inevitabili. Recentemente Noam Chomsky, filosofo e linguista americano, nel suo libro Media e potere (che raccoglie diversi articoli accademici), è arrivato addirittura a utilizzare quest’espressione per stigmatizzare il processo di intorpidimento delle coscienze cui (a suo giudizio) le società occidentali o occidentalizzate sono andate incontro: In nome del progresso e della scienza, i peggiori attentati alle libertà individuali, alla dignità della persona, all’integrità della natura, alla bellezza ed alla felicità di vivere, si effettuano lentamente ed inesorabilmente con la complicità costante delle vittime, ignoranti o sprovvedute. I foschi presagi annunciati per il futuro, anziché suscitare delle reazioni e delle misure preventive, non fanno altro che preparare psicologicamente il popolo ad accettare le condizioni di vita decadenti, perfino drammatiche. Il permanente ingozzamento di informazioni da parte dei media satura i cervelli che non riescono più a discernere, a pensare con la loro testa. . Forse le parole di Chomsky sono eccessivamente tranchant e comunque meriterebbero un’analisi molto più complessa e puntuale di una semplice citazione. Noi vi proponiamo di fermarci un passo prima e considerare semplicemente le condizioni, innescate e necessitate dalla pandemia (a sua volta generata da scelte sistemiche poco saggie), con cui abbiamo dovuto fare i conti nell’ultimo anno. Non c’è bisogno di scomodare statistiche e ricerche (pur copiose) per realizzare quanto sono state faticose e logoranti da sostenere: a partire dalla paura del virus e delle sue molteplici conseguenze su di noi e i nostri cari, passando per la drastica riduzione delle interazioni sociali fino al calo dell’attività motoria e la contemporanea sovraesposizione tecnologica, c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Le probabilità che il nostro ‘livello di vitalità’ sia diminuito sono alte, molto alte. Con questa termine intendiamo la sensazione di ben-essere corporeo, emotivo e mentale che scaturisce quando ci sentiamo pienamente a nostro agio, sicuri, parte integrante di un eco-sistema che va oltre noi stessi e che include persone, ambienti fisici e naturali. Ebbene, il dis-agio, l’insicurezza, la preoccupazione che hanno fatto irruzione nelle nostre vite, avendo tutto il tempo di mettere radici, rischiano di farci fare la fine delle rane bollite. Considerando la lentezza con cui la situazione sta tornando ad una qualche normalità, è quindi davvero importante che ciascuno di noi si prenda cura del proprio ben-essere. Anche perché la terribile forza d’inerzia generata dall’assuefazione a questo basso livello di energia potrebbe farlo persistere ben oltre la cessazione delle restrizioni esterne. Ciò che possiamo fare è anche solo fermarci un attimo, respirare con calma, e chiedere a noi stessi: “Come sto? Come mi sento? Di cosa ho bisogno ora? In che modo posso coltivare la mia vitalità?”. Volendo, il nostro modello a 6 Sorgenti può essere una mappa per orientarsi e dare
L’atto del preparare e poi bere un infuso può diventare un piccolo rito di ben-essere, un modo semplice per coltivare consapevolezza orientando l’attenzione ai propri sensi. Questa pratica guidata consente di sperimentare e prendere confidenza con un’attitudine naturale come quella meditativa, poco frequentata ma molto nutriente… https://youtu.be/w0ozju7e1V4
L’abbiamo vista arrivare da lontano, avvicinarsi lentamente, e poi sempre più velocemente; ed ora eccola tra noi, la seconda ondata. C’è una differenza importante rispetto al primo impatto del Covid in marzo e aprile. In quelle settimane la pandemia ci ha colpito come uno schiaffo improvviso, il cerchio si è stretto molto rapidamente e i sentimenti dominanti erano la preoccupazione e l’ansia per qualcosa di ignoto. Nei mesi successivi molti commentatori hanno scritto che per la prima volta la storia aveva bussato alle porte di questa generazione di adulti. Ed è vero: mentre le generazioni precedenti avevano vissuto sulla loro pelle carestie, guerre e rivolgimenti epocali, la pandemia ha costretto per la prima volta gli adulti di oggi a confrontarsi con qualcosa di ignoto e terribile, che ha cambiato in brevissimo tempo le vite di tutti noi. Quindi ovvio che fossimo impreparati: affrontavamo una situazione cognitivamente ed emotivamente senza precedenti. Questa volta invece sappiamo quale potrà essere il decorso della vicenda, immaginiamo i tempi e le modalità. Ciò per certi versi argina la paura che ogni spavento genera, lasciando il posto ad un sottile – ma non meno faticoso – sentimento di angoscia. Tale condizione emotiva va riconosciuta e aiutata, anche a livello organizzativo. Ora che molte aziende si sono attrezzate per poter gestire (laddove possibile) il lavoro a distanza, l’attenzione di manager ed HR si sta spostando in modo più diretto e strutturato sul sostegno psicofisico delle loro persone, con la consapevolezza che la tutela di un sufficiente grado di ben-essere complessivo è presupposto fondamentale per risultati sostenibili e duraturi. MensCorpore, seguendo un modello di ben-essere “a 6 sorgenti” proposto anche attraverso il suo libro-manifesto, si muove per offrire supporto alle aziende e alle loro persone. Due sono le possibili tipologie di interventi che proponiamo: a 1 – Percorsi on-line di sostegno al benessere individuale. MensCorpore propone in modalità on-line attività che sono normalmente (da molti anni) realizzate in presenza. I format a distanza sono stati sperimentati su richiesta di alcune aziende durante il primo lockdown – si veda per es. l'esperienza con Pirelli – e l’offerta viene ora ampliata: METODO FELDENKRAIS: liberare il corpo da abitudini posturali disfunzionali attraverso il movimento sottile e l’ascolto percettivo. QI-GONG: ginnastica “di lunga vita” per attivare, ammorbidire e armonizzare il sistema corpo-mente. BIOENERGETICA: lavorare con il corpo e il respiro per sciogliere le rigidità emotive e ritrovare vitalità. MEDITAZIONE MINDFULNESS: semplici pratiche di consapevolezza per coltivare presenza mentale e stabilità emotiva. PILATES MATWORK: un approccio integrale e sicuro al lavoro corporeo per coltivare elasticità, tono ed energia. WELLNESS WORKOUT: allenamento completo di fitness a corpo libero per trovare e mantenere una buona condizione fisica. YOGA RATNA: integrazione di più stili per una pratica di ben-essere completa e armonica. HATHA VINYASA YOGA: per prendersi cura del proprio corpo e respiro, attraverso un movimento armonioso e gentile. Questo tipo di percorsi vengono proposti con format di 8 incontri settimanali da 60 minuti, con un massimo di 12 partecipanti (il prezzo è di 1.200€ + IVA). aaa 2 – Interventi taylor made di formazione o sviluppo organizzativo, progettati e realizzati per rispondere alle specifiche esigenze del cliente. MensCorpore ha organizzato nel tempo – dunque a prescindere dall’emergenza Covid – quattro linee di lavoro, che è possibile visualizzare qui. aa Per chiarimenti, approfondimenti, o per confrontarti con noi, scrivi a: info@menscorpore.org.
La seconda ondata di Covid-19 è arrivata e ha necessitato nuovamente misure drastiche di contenimento, fra cui la chiusura di palestre e centri culturali. Le nostre attività in presenza si sono quindi dovute fermare e non sappiamo quando potranno ripartire. A differenza di Marzo tuttavia, abbiamo deciso di organizzarci per dare continuità ai corsi passando in modalità on-line, modificando in alcuni casi giorni e orari. Pur considerandolo un "piano B", in questo momento non c'è altro modo per continuare a offrire un servizio importante per la tutela dalla salute personale. È proprio per questo che i gruppi resteranno piccoli (max 12 persone), così da garantire ai partecipanti un'attenzione che numeri maggiori non consentirebbero. Qui di seguito riportiamo quindi una sintesi delle opzioni disponibili e i relativi costi: aa METODO FELDENKRAIS Liberare il corpo da abitudini posturali disfunzionali attraverso il movimento sottile e l’ascolto percettivo. Lunedì 9.30-10.30 e Venerdì 18.15-19.15 Contributo: 50 euro mensili 1 lezione settimanale; 85 euro mensili 2 lezioni settimanali QI-GONG Ginnastica “di lunga vita” per attivare, ammorbidire e armonizzare il sistema corpo-mente. Martedì 9.30-11.00 e 19.30-21.00, Giovedì 9.30-11.00 Contributo: 50 euro mensili 1 lezione settimanale; 85 euro mensili 2 lezioni settimanali BIOENERGETICA Lavorare con il corpo e il respiro per sciogliere le rigidità emotive e ritrovare vitalità. Lunedì 20.30-22.00 Contributo: 50 euro mensili MEDITAZIONE MINDFULNESS Semplici pratiche di consapevolezza per coltivare presenza mentale e stabilità emotiva. Lunedì 7.30-8.15 e Giovedì 19.30-20.30 Contributo: 40 euro mensili 1 lezione settimanale; 80 euro mensili 2 lezioni settimanali PILATES MATWORK (con approccio psico-senso-motorio) Un approccio integrale e sicuro al lavoro corporeo per coltivare elasticità, tono ed energia. Martedì 19.30-20.30, Mercoledì e Venerdì 12.30-13.15 Contributo: 40 euro mensili 1 lezione settimanale; 80 euro mensili 2 lezioni settimanali WELLNESS WORKOUT Allenamento completo di fitness a corpo libero per trovare e mantenere una buona condizione fisica. Mercoledì 19.00-20.15 Contributo: 50 euro mensili YOGA RATNA Integrazione di più stili per una praticadi ben-essere completa e armonica. Lunedì 19.30-20.45 Contributo: 50 euro mensili HATHA VINYASA YOGA Per prendersi cura del proprio corpo e respiro, attraverso un movimento armonioso e gentile Venerdì 18.00-19.15 Contributo: 50 euro mensili aa PER OGNI CORSO È POSSIBILE EFFETTUARE UNA LEZIONE GRATUITA DI PROVA PER INFORMAZIONI E ISCRIZIONI SCRIVI A: info@menscorpore.org
Le tre serate di presentazione del nostro libro manifesto ci hanno riempito di gioia: sono andate esattamente come speravamo, offrendo una ampissima (ma ordinata) gamma di stimoli, spunti, esempi, proposte a coloro che hanno partecipato dal vivo (presso il Teatro Nuovo di Treviglio) oppure le hanno seguite sulla pagina Facebook del Comune di Treviglio. Ecco perché ci è sembrato importante condividere le registrazioni integrali degli incontri, cosicché chiunque sia interessato possa dargli una sbirciata