Le Experience sono speciali attività off-site progettate per piccoli gruppi aziendali.

Integrando formazione e ben-essere, offrono ai partecipanti occasioni di apprendimento che mescolano natura, gusto, cura di sé e relazione con l’Altro. Per saperne di più visita l’area del sito dedicata….

back to top
Image Alt

Author: Marco Leonzio

Qualche settimana fa un articolo sul Corriere della Sera riportava l'attenzione sul crescente livello di insoddisfazione dei lavoratori italiani. Una recente ricerca dell’Osservatorio Hr Innovation Practice del Politecnico di Milano rileva, infatti, che solo il 10% dei lavoratori afferma di godere di un livello soddisfacente di benessere fisico, relazionale e mentale. È vero che spesso queste ricerche offrono uno spazio di sfogo alle persone intervistate, però i numeri sono sempre numeri. Il lavoro continua ad essere per troppe persone un'esperienza faticosa e deludente. L’affermazione del fenomeno del “quite quitting” - siccome sono insoddisfatto, e la prospettiva di cambiare lavoro non sembra al momento accessibile, faccio il minimo indispensabile e non chiedetemi di più - rivela la percezione di una trappola. Il periodo successivo al Covid aveva infatti spinto molte persone a cambiare lavoro, nella convinzione e nella speranza di poter accedere a esperienze migliori. Avevamo chiamato questo fenomeno “great resignation”, intravedendo forse una spinta al cambiamento di maggiori dimensioni, quasi “a qualunque costo”, e invece studi successivi avevano ribattezzato il fenomeno, più realisticamente, “great turnover”, e in alcuni casi “boomerang employees”, con evidente riferimento al movimento di ritorno e alla delusione di un tentativo imprudente. Questo trionfo circolare di etichette ci ha portati infine al punto di partenza, alla cocente delusione di una esperienza del lavoro in evidente impasse, nonostante le straordinarie potenzialità dispiegate dalle tecnologie. E allora, di fronte a scenari di crescente incertezza e al corrispondente bisogno di sicurezza e protezione, non rimane che stare dove siamo, facendo quello che dobbiamo, ma niente di più, senza entusiasmo, rinunciando a chiedere a questa esperienza così fondamentale di essere fonte di benessere vitale, di nutrire e riempire la nostra esistenza. Eppure molte organizzazioni credono profondamente nella possibilità di migliorare la condizione di benessere delle persone al lavoro, e molto si fa per alimentare il livello di engagement dei collaboratori. Ma i risultati spesso non sono confortanti. Perché? Credo che due siano le questioni da considerare. Per individuare la prima riprendo la definizione di engagement formulata in una ricerca di Alessandra Mazzei qualche anno fa (qui i riferimenti della ricerca), secondo la quale esso è “un tratto personale di disposizione all’entusiasmo che quando interagisce con fattori situazionali determina uno stato psicologico persistente di assorbimento cognitivo nel proprio lavoro, dedizione emotiva e vigore, cioè energia”. Le organizzazioni che vogliono alimentare engagement naturalmente concentrano la loro attenzione sui “fattori situazionali”, quelli sotto il loro controllo, per offrire condizioni di lavoro in grado di attivare quella disposizione all'entusiasmo che mette in moto l'azione organizzativa. Ma l'elemento spesso trascurato nelle analisi è proprio quest'ultimo: l’entusiasmo. La  disponibilità personale ad impiegare l'energia vitale nel lavoro, a “metterci del nostro”, è una condizione che appartiene alla persona, è separata da ciò che l'azienda può fare per attivare o inibire il nostro entusiasmo. I due elementi dell'engagement - la disposizione all'entusiasmo e i fattori situazionali - sono fortemente legati tra loro e interdipendenti, ma sono diversi. Uno appartiene alla persona, l'altro all'ambiente organizzativo in cui opera. Se si trattasse di matematica, diremmo che per cambiare il risultato dobbiamo intervenire non solo sul denominatore ma anche sul numeratore. La questione centrale è che mentre le organizzazioni cercano di intervenire sulle condizioni del lavoro, sono fortemente mutate negli ultimi anni le aspettative soggettive e la rappresentazione di quell'esperienza centrale nella nostra vita che chiamiamo lavoro. Le persone desiderano un equilibrio diverso tra il lavoro e la vita privata, accettano con un crescente grado di insofferenza i climi organizzativi tossici, cercano relazioni nutrienti anche sul lavoro con colleghi e manager, desiderano percorsi di sviluppo professionale e retribuzioni che consentano almeno una vita dignitosa, tanto per citare le voci

È attiva la campagna di pre-acquisto del libro-manifesto di MensCorpore "Coltiva te stesso - Le 6 Sorgenti del Ben-Essere", di cui riportiamo qui di seguito la quarta di copertina: Quella che chiamiamo “stare bene, sentirsi bene” è una sensazione, una condizione esistenziale tanto precisa quanto complessa, frutto della convergenza di molteplici fattori: fisici, emotivi, mentali, relazionali, ambientali… E se è vero che nessuno di essi ricade completamente ed esclusivamente sotto il nostro controllo, è altrettanto vero che ci sono margini di manovra, a volte molto ampi, spesso non riconosciuti. Questo libro, che riassume e organizza il lavoro di un progetto quinquennale e le voci di coloro che hanno contribuito al suo sviluppo, è una sorta di mappa: il lettore è invitato a prenderla come strumento di navigazione, per intraprendere il proprio viaggio alla ricerca di un tesoro invisibile eppure inestimabile chiamato Salute. Informazioni, riflessioni, metodologie, suggerimenti e pratiche per imparare a prendersi cura di sé in modo consapevole e rispettoso dei bisogni nostri, di coloro con cui condividiamo la vita e del mondo che abitiamo.  Questa invece la breve nota biografica di Nicola Castelli, curatore del libro e presidente dell'Associazione MensCorpore: Sono sempre stato affascinato dalle pratiche e dalle discipline che integrano la dimensione corporea con quella emotiva e mentale, sperimentandone molteplici nel corso degli anni: dallo Yoga, al Tai-Chi al Qi-Gong (per citarne alcune di matrice orientale), passando per il Metodo Feldenkrais e la Bioenergetica (tipicamente occidentali). Occupandomi da più di 15 anni di formazione, consulenza e ricerca in ambito organizzativo (dal mondo sanitario a quello aziendale) mi sono reso conto che la cura di sé è la strada maestra anche per lavorare meglio. Per questo motivo, dopo l’incontro decisivo con la Meditazione Mindfulness (di cui sono Trainer e Counselor) ho deciso di fondare una realtà Associativa (MensCorpore) che si occupasse di educazione alla salute, fornendo stimoli concreti e comprensibili a tutti coloro che fossero interessati a coltivare il proprio ben-essere. Ho deciso di scrivere questo libro per due motivi principali: il primo era fare ordine nel marasma di esperienze, conoscenze e riflessioni stratificate negli anni, che sentivo il bisogno di organizzare in modo più sistematico; il secondo era condividere il frutto di questo lavoro personale e soprattutto il contributo dei professionisti coinvolti con tutti coloro che ritengono importante prendersi cura quotidianamente del proprio e dell’altrui ben-essere. Per sostenere il progetto editoriale, clicca il link qui di seguito: CAMPAGNA PRE-ACQUISTO