Le Experience sono speciali attività off-site progettate per piccoli gruppi aziendali.

Integrando formazione e ben-essere, offrono ai partecipanti occasioni di apprendimento che mescolano natura, gusto, cura di sé e relazione con l’Altro. Per saperne di più visita l’area del sito dedicata….

back to top
Image Alt

Maggio 2025

La saggezza è un attributo che da sempre viene attribuito a figure eminenti da cui, almeno in teoria, bisognerebbe farsi guidare. Secondo il dizionario di Oxford è definita come: “L'equilibrio nel comportamento e nel consiglio, che è frutto di una matura consapevolezza ed esperienza delle cose del mondo.”  Ad una prima lettura appare lampante come la saggezza incarni due direttrici: una auto-diretta (verso sè stessi) e una etero-diretta (verso gli altri); un moto che agisce prima sull’individuo che la incarna e successivamente su coloro con cui questa persona si relaziona. Tuttavia, per quanto evocativa, la saggezza è una dimensione dell’essere che risulta difficile da indagare, soprattutto con gli strumenti riduzionistici della logica ‘classica’. Eppure c’è chi ha provato a muoversi in questo territorio incerto con rigore scientifico… Proprio quest’anno, un numero nutrito di ricercatori guidati da Maksim Rudnev dell’Università Canades e di Waterloo, ha pubblicato un’interessante articolo su Nature Communications che si pone l’ambizioso obiettivo di domandarsi quali siano le dimensioni che veicolano la percezione della saggezza, ovvero, quali siano le caratteristiche che una persona dovrebbe possedere per essere percepita come saggia. Lo studio, condotto su uncampione di 12 paesi appartenenti a 5 continenti diversi, ha fatto emergere due dimensioni principali: l’orientamento riflessivo e la consapevolezza socio-emotiva. Per orientamento riflessivo si intende principalmente la capacità di affrontare i problemi avvalendosi del pensiero analitico; ma attenzione, ciò non significa limitarsi a una semplice applicazione della logica. Questo tipo di orientamento richiede anche la capacità di fermarsi, riflettere e considerare una varietà di prospettive (convergenti e, forse soprattutto, divergenti) prima di prendere una decisione. Tale postura enfatizza e sottolinea la capacità diregolare le emozioni personali, ascoltandole, comprendendole e accettandole, per evitare che influenzino in modo negativo le decisioni; inoltre, consente di apprendere dall’esperienza e di applicare le lezioni imparate da essa in situazioni nuove. La mente riflessiva, quindi, non è solo logica, ma anche meditativa e lungimirante, cioè in grado di prevedere le conseguenze delle proprie azioni valutando attentamente ogni aspetto della situazione. La consapevolezza socio-emotiva invece evidenzia l’importanza di connettersi con gli altri in modo profondo e rispettoso. Questa capacità non riguarda solo il comprendere le emozioni degli altri, ma anche l’avere empatia e umiltà: qualità che permettono di entrare in sintonia con gli altri e di offrire sostegno senza giudizio. La consapevolezza socio-emotiva aiuta a evitare che l’ego o la rigidità personale ostacolino il rapporto con gli altri, promuovendo relazioni basate sulla comprensione reciproca e sul rispetto. È attraverso questo aspetto "del cuore" che una persona saggia può agire non solo per il proprio bene, ma anche per il bene collettivo. Riteniamo che queste due dimensioni, senza che esse semplifichino eccessivamente la questione (per approfondire vi rimandiamo direttamente alla consultazione del paper), se integrate nell’agire organizzativo possano generare impatti operativi e culturali in grado di modificare profondamente i contesti lavorativi, migliorandoli. E voi cosa ne pensate? Vi vengono in mente ulteriori dimensioni della saggezza? Vi capita di riscontrare persone o comportamenti ‘saggi’ nella quotidianità professionale? Per saperne di più, clicca qui!

Mentre registravamo una puntata dedicata alla salute mentale nei contesti lavorativi per il nostro podcast WIP – Work In Progress, l’ospite (Biancamaria Cavallini, psicologa del lavoro e Direttrice Scientifica di Mindwork) ci ha fatto notare una cosa che ho trovato molto interessante. Faccio un piccolo passo indietro. Bianca stava rispondendo a una domanda relativa alle pratiche quotidiane che possono aiutarci a prevenire gli effetti collaterali dello psico-stress a cui siamo sottoposti, non solo mentre lavoriamo. La sua riflessione è stata più o meno questa: partendo dal presupposto che non esistono in senso assoluto routine giuste o sbagliate, è però di per sé curioso constatare come non ce ne siano di socialmente diffuse e accettate, come accade per la sfera corporea. E ci ha fatto un esempio lampante: di solito consideriamo come parte integrante della nostra vita lavarci i denti almeno una volta al giorno, fin dall'infanzia. Non ci sforziamo di farlo, non dobbiamo trovare particolari escamotage per ricordarcene né aderire ad alcun complicato sistema di credenze per considerare questo gesto utile alla nostra salute. Semplicemente sappiamo che la sua ripetizione giornaliera contribuisce all’igiene dei nostri denti: non ci aspettiamo effetti miracolosi dalla sera alla mattina e siamo consapevoli che la differenza sta proprio nella continuità nel tempo di quel ‘rito’. Accettiamo inoltre il fatto che potremmo comunque aver bisogno di una qualche manutenzione straordinaria, ma proprio per questo quella ordinaria è fondamentale. Tutto molto semplice. Eppure sfido il lettore a trovare un corrispettivo del tooth brushing (maledetti inglesismi!) per la tutela della salute mentale: una piccola pratica giornaliera, condivisa su larga scala, che aiuti a quietare e ripulire la mente dal caos e della ‘scorie’ che così facilmente intercettiamo. Forse è difficile identificarla perché siamo culturalmente poco abituati a ragionare in termini di prevenzione in relazione a questa ‘dimensione’. Essendo meno solida e quindi più sfuggente finiamo per trascurarla, con tutti gli effetti collaterali che ciò comporta. La nostra ospite ha concluso il suo intervento invitando allora gli ascoltatori a identificare, pensando all’esperienza personale, un’attività capace di restituire piacere e relax: ascoltare musica, leggere, fare a maglia, passeggiare…   Un’azione che abbia come unico intento il gusto dell’azione stessa, senza secondi fini o intenti performativi. Bene, quella può diventare un ottimo punto di partenza per consolidare la propria routine d’igiene mentale, a cui dare perlomeno lo stesso valore della cura riservata ai denti. Il ben-essere, dentro e fuori dai contesti lavorativi, è il frutto di tanti invisibili e irrisori comportamenti che nondimeno, lentamente, indirizzano e plasmano quella che chiamiamo e percepiamo come qualità della vita. Per contribuire al passaggio dall’igiene dentale a quella mentale (senza però smettere di lavarsi i denti, sia ben chiaro!) mettiamo a disposizione una breve e semplice pratica meditativa guidata, auto-somministrabile alla bisogna e senza nessun effetto collaterale: il nostro dentifricio biologico al gusto mindfulness 😜! ASCOLTA LA TRACCIA