Dopo due mesi di lockdown pressoché totale per contrastare e far rientrare il più velocemente possibile l’emergenza sanitaria generata dal coronavirus, appare evidente che, nonostante i piccoli ma concreti segnali di miglioramento, ci vorranno mesi prima di poter pensare di ritornare ad una parvenza di normalità. Le ripercussioni economiche e lavorative di questa eccezionale, complessa e logorante situazione, in parte già visibilissime, faticano però ad essere del tutto prevedibili, a fronte di uno scenario ancora molto incerto.
Al di là delle decisioni e delle successive azioni che verranno intraprese a livello politico e privato (le singole aziende), sembrano coesistere due tipologie di orientamenti psicologici: da una parte c’è la fortissima percezione di un bruciante desiderio di non fermarsi, alimentato dalla legittima paura di non riuscire poi a rialzarsi. Si tiene duro per tornare presto a fare esattamente ciò che si faceva prima, mettendo in campo tutto l’impegno, la fatica e la determinazione necessarie. In sostanza, ripristinare il più velocemente possibile il “gioco” che siamo stati costretti a sospendere, approfittando di tutti gli spazi e le occasioni che si presenteranno. Dall’altra c’è il sospetto (piuttosto radicato) che sia necessario rimettere in discussione le regole di quel gioco, ovvero: forse la terribile impasse che siamo stati costretti a fronteggiare ci sta dando contemporaneamente l’opportunità di rivedere le priorità (soggettive e sociali) e il modello di sviluppo che stavamo perseguendo con tanto zelo. Da qui l’esigenza di mettere in discussione non solo le logiche di mercato, ma prima ancora le culture organizzative e le convinzioni individuali.
Queste due spinte, apparentemente contraddittorie, nella realtà possono tranquillamente coesistere anche all’interno della stessa persona (o azienda, o Governo). Sono entrambe comprensibili e affondano le radici in bisogni umanissimi: da un lato quelli di sicurezza e controllo (tornare al “già conosciuto”), dall’altro quello di rinnovamento (sperimentare qualcosa di diverso e magari migliore). Ovviamente fra questa due polarità ci sono infinite sfumature intermedie e possibili accezioni, ed è credibile che il futuro che ci aspetta sarà plasmato da entrambe le forze, assumendo una forma oggi difficile da immaginare. Allora forse un buon punto di partenza per trovare il proprio modo di attraversare l’emergenza e predisporsi al “mondo che verrà” in modo più consapevole potrebbe essere quello di porsi alcune domande, restando davvero in ascolto delle risposte che sorgeranno. Ne proviamo a suggerire alcune:
“Cosa è (o ho scoperto essere) realmente importante per me?”
“C’è qualcosa che prima dell’epidemia sottovalutavo o davo per scontato e che vorrei invece preservare quando torneremo ‘alla normalità’?”
“Ero soddisfatto/a della mia vita in generale? In che modo vorrei che cambiasse? C’è qualcosa che potrei fare per contribuire a quel cambiamento?”
“Ero soddisfatto/a del mio lavoro? In che modo vorrei che cambiasse? C’è qualcosa che potrei fare per contribuire a quel cambiamento?”
Per quanto possano sembrare questioni fin troppo astratte o vaghe, addirittura inopportune, forse è il momento buono per porsele, magari associandole ad alcuni temi chiave, che l’attuale emergenza ha messo in evidenza:
Salute e prevenzione: se c’è una cosa che la pandemia contro cui stiamo combattendo ha reso evidente è la debolezza dei Servizi Sanitari Nazionali, indeboliti da scelte politiche (e culturali) tutt’altro che recenti. Se sul piano istituzionale ci si augura che ciò faccia prendere decisioni più sagge nel futuro, su quello individuale diventa l’occasione per riflettere sull’importanza della prevenzione, del coltivare stili di vita salutari, espandendo il proprio concetto di Salute al di là della sfera meramente fisico-corporea.
Relazioni: il costo, in termini di vite umane, dell’epidemia è stato e sarà molto alto. Non sarebbe strano se chi legge avesse perso conoscenti, amici o partenti a causa del virus. La fragilità con la quale ci siamo dovuti confrontare forse ci aiuterà a non dimenticare di dare spazio, nella nostra vita, alle relazioni umane significative, troppo spesso date per scontato e scarificate in nome di obiettivi o impegni apparentemente più importanti.
Natura: è stupefacente e allo stesso tempo inquietante constatare quanto il pianeta terra stia beneficiando dello STOP imposto alle attività dell’uomo. Sarebbe veramente il momento di accorgerci di quanto illusoria sia la convinzione di poter controllare e manipolare a proprio piacimento l’ambiente naturale senza doversi preoccupare delle conseguenze. Il ripristino di una connessione profonda con la propria biofilia e lo sviluppo di una reale coscienza ecologica sono forse le sfide più cruciali che abbiamo di fronte.
Interdipendenza: questo è veramente IL tema, il più potente apprendimento che abbiamo la possibilità di maturare. Mai come oggi dovremmo renderci conto che non siamo isole, non siamo creature indipendenti e autodeterminate, che il nostro destino non è (solo) nelle nostre mani. In altre parole, che la nostra esistenza interdipende da un’incalcolabile varietà di fenomeni e processi e che, al di là del bene e del male, siamo parte integrata e integrante di un sistema che va molto, ma molto a di là dei nostri confini fisici e della limitatissima idea che abbiamo di noi stessi.
A poche persone (quelle che hanno le competenze e le responsabilità per farlo) è chiesto oggi di risolvere la crisi “là fuori”. Tutti gli altri, tutti noi che siamo invitati a contribuire semplicemente rallentando, abbiamo la preziosa possibilità di prenderci cura della crisi “qui dentro”, dentro ciascuno di noi: quella che molto probabilmente abbiamo iniziato a percepire grazie alla drastica riduzione delle fonti di distrazione quotidiana e all’aumento di angosce e preoccupazioni. Entrare in ascolto empatico e dialogo costruttivo con questo smottamento di certo non è facile, eppure potrebbe essere la decisione più saggia a nostra disposizione.