Cambiare personalità è possibile? E se sì, cosa lo innesca davvero?
Per decenni, le teorie delle personalità hanno promosso l’idea che i tratti individuali – le nostre caratteristiche più profonde – fossero relativamente stabili una volta raggiunta l’età adulta. Tuttavia, sempre più ricerche stanno mettendo in discussione questo assunto, mostrando come la personalità possa invece evolvere nel tempo, persino cambiare talvolta. Ma quanto e in che modo gli eventi di vita incidono su tale cambiamento?
Un recente studio condotto da Bühler, Orth, Bleidorn, Weber, Kretzschmar, Scheling e Hopwood (2023) offre un contributo significativo a questa domanda. Si tratta di una meta-analisi preregistrata di 44 studi, che aggrega i dati di oltre 121.000 persone per valutare l’effetto di dieci eventi di vita – dalla nascita di un figlio alla perdita del lavoro, dal matrimonio al pensionamento – su cambiamenti nei Big Five, nell’autostima e nella soddisfazione di vita.
Gli interessanti risultati mostrano che gli eventi di vita, inaspettatamente, possono effettivamente modificare la personalità, anche se con effetti tendenzialmente piccoli e specifici.
In particolare, è doveroso sottolineare come sorprendentemente gli eventi legati alla sfera lavorativa (come il primo impiego o la laurea) abbiano effetti più consistenti rispetto a quelli nell’ambito affettivo.
In particolare, eventi di “guadagno” (es. iniziare una nuova relazione o trovare lavoro) tendono ad associarsi a cambiamenti positivi, mentre eventi di “perdita” (es. divorzio, disoccupazione) mostrano effetti più eterogenei e difficili da prevedere; infatti possono essere sia negativi che positivi in termini di apertura o cambiamento.
Questo studio ci invita a superare una visione statica della personalità per abbracciarne un modello dinamico, dove l’esperienza individuale e sociale diventano terreni fertili per trasformazioni anche profonde, sebbene vada detto che questi cambiamenti sono quasi sempre graduali.
Questo fatto ci ricorda anche che non tutti gli eventi hanno lo stesso impatto e che comprendere le condizioni e i meccanismi che favoriscono un reale cambiamento resta una sfida aperta per la ricerca non solo accademica ma anche personale.
In un contesto sempre più dinamico e complesso, sapere di poter cambiare, sebbene rimanga sempre una sfida, risulta essere una consapevolezza mai scontata e piena di speranza.
Nel contesto organizzativo, questa prospettiva può offrire spunti interessanti: i percorsi professionali, i momenti di transizione, o i cambiamenti relazionali all’interno dei team possono non solo modificare comportamenti, ma anche contribuire alla ridefinizione di tratti identitari. Resta però la domanda: come possiamo progettare contesti in grado di facilitare cambiamenti adattivi e maturativi che possano migliorare l’esperienza delle persone?
Un buon punto di partenza è quello di permettere non solo a parole come identità e, azzardando, anima di prendere spazio all’interno delle organizzazioni; bensì costruire degli ecosistemi che siano effettivamente e concretamente attenti a queste dimensioni dell’essere. Le organizzazioni non possono e non devono rimanere semplicemente dei luoghi deputati alla produzione di un qualsivoglia tipo di prodotto, servizio o risultato (sebbene sia chiaro che sono questi i fattori che consentono loro di sopravvivere); piuttosto devono divenire degli ambienti in cui le persone possano mettere al servizio di uno scopo le proprie peculiarità e caratteristiche, realizzando uno scopo e realizzandosi nel compierlo. Sebbene questi orizzonti paiano nascondersi dietro logiche sempre più stringenti di competitività e prevaricazione, questi sono i pilastri da tenere in mente e su cui costruire un futuro più silenzioso, gentile e sostenibile, ma non per questomeno impattante.
Cosa ne pensate? In quali contesti avete osservato cambiamenti di personalità legati a eventi di vita? Possiamo, come formatori, educatori o manager, favorire questi processi in modo intenzionale?
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